AFFRONTARE IL FENOMENO SETTARIO : BILANCIO DI UN’ESPERIENZA DI SEDICI ANNI


Written the Friday, October 18th 2013 à 5:01 PM
Raffaella Di Marzio



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By Raffaella Di Marzio
 
Psicologa della religione  e Membro del Direttivo della SIPR
(Società Italiana di Psicologia della Religione)

Email: raffaelladimarzio@gmail.com
URL: www.dimarzio.it
Blog (Italiano) : http://raffaelladimarzio.blogspot.com/
Canale Youtube: http://www.youtube.com/user/raffaelladimarzio

Affrontare il fenomeno settario
 
bilancio di un’esperienza di sedici anni
 
 
Relazione presentata al Congresso  Internazionale organizzato da ICSA  (International Cultic Studies Association) e Info-Cult  a  Ginevra, Luglio  2009
 
 
SINTESI
 
Questa relazione è divisa in tre parti.
 
Nella prima presenterò il mio percorso nel mondo dell’assistenza alle vittime delle sette, nel corso del quale la mia esperienza si è arricchita grazie al contributo di persone con esperienze e opinioni diverse con le quali sono entrata in contatto o ho collaborato. Questo processo mi ha spinto a modificare, in parte, il mio punto vista sulla questione “sette” e sulle modalità più efficaci per affrontarla rispetto a quello che avevo all’inizio di questa avventura, nel lontano 1993.
 
Nella seconda parte accennerò a quelli che a mio avviso sono gli errori più comuni che vengono compiuti all’interno di gruppi di aiuto e assistenza alle vittime così come metterò in evidenza l’importanza e l’insostituibile apporto positivo che i gruppi di aiuto compiono nella società.
 
Nella terza parte offrirò alla discussione comune alcuni suggerimenti e proposte per migliorare il nostro impegno a favore delle vittime di sette e forme spirituali controverse presenti nel nostro paese.
 
Nel 2010 sui temi di questa relazione e altre questioni correlate, ho pubblicato, per i tipi della MAGI Edizioni Scientifiche, un libro il cui titolo è: Nuove religioni e sette. La psicologia di fronte alle nuove forme di culto.
 
 
 
 
 
1. IL MIO PERCORSO
 
Ho cominciato ad impegnarmi come volontaria in una associazione cattolica nel 1993. Nel corso degli anni ho collaborato con diverse organizzazioni  e ho potuto verificare in prima persona le grandi diversità di approccio al problema sette in Italia, diversità che, però, a mio avviso, non rendono impossibile la collaborazione tra persone e associazioni anche se esse hanno finalità diverse. 
 
Ho iniziato  collaborando come volontaria  all’interno di un centro d’ascolto del GRIS (Gruppo di Ricerca e Informazione sulle Sette(1)) a Roma. Insieme a decine di altri volontari - che operavano in diverse diocesi italiane - rispondevo alle telefonate di persone che, da diverse parti d’Italia e dall’estero, chiedevano informazioni ed aiuto. 
 
Come avviene sempre nel mondo del volontariato, lì dove non c’è alcuna professionalità codificata, chi decide di impegnarsi in un determinato settore lo fa, inizialmente, facendo tesoro dell'esperienza altrui, ed in seguito procedendo per tentativi e facendo tesoro dei propri errori. In questi centri le azioni che s’intraprendono, l’atteggiamento degli operatori e l’assistenza prestata si basano fondamentalmente sulle indicazioni di coloro che già vi operano da tempo. 
 
Nel 1997, in relazione ad una ricerca sulla controversa posizione dell’APA sulla questione del “lavaggio del cervello” sono entrata in contatto ed è iniziata la mia collaborazione e lo scambio di informazioni e ricerche con l’AFF, oggi ICSA, soprattutto con Michael Langone che allora fu l’unico a rispondere alla mia richiesta di informazioni sulla questione controversa di quale fosse la posizione ufficiale dell’APA sulla questione del “lavaggio del cervello” praticato all’interno dei Nuovi Movimenti Religiosi. Questa collaborazione continua ancora oggi, nonostante le difficoltà legate alla distanza e alla lingua. 
 
La mia esperienza all’interno del GRIS si conclude dopo circa sette anni, ma il mio impegno continua a titolo personale grazie anche all’apporto insostituibile di un Portale interattivo che ho chiamato SRS (Sette, Religioni e Spiritualità: www.dimarzio.it). Attraverso questo strumento ho continuato a fare informazione e a rispondere alle richieste di aiuto. 
 
Nell’ultimo periodo della mia collaborazione con il GRIS era iniziata, ed è ancora in corso, per un progetto specifico, la mia collaborazione con il CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) di Torino. La collaborazione con questo Centro Studi si riferisce alla realizzazione della prima Enciclopedia delle Religioni in Italia, che è stata aggiornata nel 2006 e, da qualche anno, è diventata anche un progetto interamente online (2). 
 
Circa sei anni fa sono diventata socia e membro del Direttivo della SIPR (Società Italiana di Psicologia della Religione), all’interno della quale mi interesso di studiare e fare ricerca sul comportamento religioso degli individui nel contesto della loro personalità e dell’ambiente sociale in cui vivono. 
 
In questi anni la mia attività di volontaria e la mia disponibilità all’ascolto delle persone non è mai cessata di pari passo con lo studio e la ricerca. A questo proposito vorrei sottolineare un aspetto che ritengo importante: all’inizio del mio impegno ricevevo le richieste di informazioni e aiuto solo da parte di famiglie, membri in crisi o ex membri di gruppi religiosi, giornalisti e forze dell’ordine. Nel coso degli anni a queste richieste di aiuto si sono aggiunte via via anche i contatti e le richieste di informazioni e aiuto  da parte di persone affiliate a movimenti religiosi e spirituali, aiuto richiesto solitamente nel momento in cui queste persone venivano fatte oggetto di attacchi mediatici, tramite Internet, libri scritti da ex membri, radio, televisione ecc. 
 
In questi casi ho avuto la possibilità di confrontare le ricostruzioni e le esperienze di persone ancora affiliate e di ex membri sul medesimo gruppo religioso. Questa possibilità che, mio malgrado, mi si è presentata, è stata per me molto stimolante, ha aperto nuovi orizzonti di conoscenza  e ha arricchito la mia ricerca.
 
2. RIFLESSIONI SULL’ATTIVITA’ DEI CENTRI D’ASCOLTO IN ITALIA
 
 
In questa parte metterò in evidenza innanzitutto l’importanza e l’insostituibile apporto positivo che i gruppi di aiuto danno all’interno della società. Subito dopo elencherò, in sintesi, quelli che, a mio avviso, sono gli errori più comuni compiuti all’interno di gruppi di aiuto e assistenza alle vittime delle sette. 
 
 
1. Gruppi di sostegno alle vittime
 
Purtroppo all’interno di alcuni gruppi carismatici si verificano abusi, vessazioni e pressioni psicologiche tali da causare danni  di vario genere agli adepti: in questi casi le dinamiche distruttive vengono messe in atto da leader senza scrupoli preoccupati solo di acquisire vantaggi materiali o di sottomettere al loro potere persone indifese. E’ per rispondere alle necessità delle vittime di questi abusi che nascono i gruppi di sostegno, la cui opera non solo è auspicabile ma, a mio avviso, è indispensabile. 
 
Per quanto riguarda la mia esperienza, la maggior parte delle richieste d’aiuto e informazioni proveniva da persone preoccupate per parenti, amici, conoscenti coinvolti in un gruppo che - loro temevano, a volte a torto ed a volte a ragione - fosse una “setta”. Una minoranza di richieste proveniva da persone che erano ancora affiliate, ed in questo caso si trattava di persone in crisi per qualche motivo che avevano dubbi sulla loro stessa affiliazione. Pochissime erano, infine, le persone che chiedevano aiuto dopo aver deciso di uscire da un gruppo religioso.
I volontari che operano in questi gruppi sono motivati a mettersi al servizio degli altri senza secondi fini o desiderio di vendetta. Grazie a loro, il gruppo di aiuto svolge un ruolo positivo di rassicurazione emotiva, permettendo all'individuo di rivivere, raccontare e riflettere con serenità sulla sua esperienza passata. Il contatto con queste persone - che spesso hanno vissuto un'esperienza simile - si rivela fruttuoso e accompagna gradatamente chi chiede aiuto a uscire dal suo stato di confusione e sofferenza, recuperando altri rapporti affettivi e altre opportunità di realizzazione. 
 
In questi casi i fuoriusciti, nel tempo, riescono a discriminare ciò che di buono hanno ricevuto dal gruppo e ciò che, invece, rifiutano e che ricordano come "abuso", condizionamento" ecc. Molte volte decidono di impegnarsi nello stesso gruppo di sostegno nel quale sono stati accolti anche per avvisare i loro ex amici e metterli al corrente di tutto quello che hanno compreso dopo la disaffiliazione. Questa azione degli ex membri alcune volte riesce a provocare la defezione di altri adepti, altre volte si rivela inefficace. 
I parenti di persone affiliate e i fuoriusciti vengono accolti e sostenuti da persone che spesso hanno vissuto le loro stesse esperienze e, proprio per questo, sono in grado di comprensione empatica. In molti casi ho potuto constatare che il fatto stesso di sentirsi ascoltati aiuta le persone a comprendere e affrontare meglio la loro situazione. L’ascolto è un arricchimento anche per la persona alla quale ci si rivolge per chiedere aiuto perché consente di imparare dall’esperienza altrui e di mettere a frutto quest’esperienza in casi simili tra loro. E’ questo il significato e il ruolo costruttivo dei gruppi di auto-aiuto e dei centri d’ascolto.
 
2. Aspetti discutibili nella metodologia di aiuto
 
1) La formazione degli operatori
 
Non esiste alcun centro di formazione per qualificare questo genere di servizio di assistenza, e chi comincia - armato spesso della sola buona volontà - viene “gettato nell’arena” e si trova subito di fronte ai primi problemi. I centri d’ascolto operano indipendentemente l’uno dall’altro, non esiste alcun “protocollo” comune d’intervento: l’azione intrapresa è discrezionale e volontaristica. Questa “anarchia metodologica” credo sia causa degli errori più gravi commessi da un certo numero di volontari, errori che causano ulteriori problemi personali e sociali a chi chiede aiuto. 
 
2) Semplificare per non affrontare i conflitti
 
Il problema del singolo individuo e della sua famiglia non viene inquadrato nel complesso contesto della personalità e delle dinamiche familiari. Viene estrapolato e trattato come se fosse un problema a sé: come se l’adesione o la fuoriuscita dalla “setta” si potessero comprendere senza tener conto della persona nella sua globalità e nelle sue relazioni interpersonali. Non si cerca di comprendere, perciò, cosa non ha funzionato nei gruppi di riferimento di quell’individuo prima dell’affiliazione, cosa la persona non ha trovato nella sua famiglia e nella Chiesa di cui faceva parte che l’ha spinta a cercare realizzazione altrove, ma si preferisce attribuire ogni “colpa” al nuovo gruppo di riferimento, quello che nel presente sembra rispondere alle aspettative dell’individuo, e cioè la “setta” (3). Da questo errore di fondo scaturiscono convinzioni e presupposti erronei che rendono l’azione dei volontari molte volte inefficace o controproducente.
 
3. Utilizzare fonti unilaterali
 
Per quanto riguarda il problema delle fonti utilizzate per acquisire informazioni sui gruppi vengono commessi questi errori: 
 
1) utilizzare solo fonti critiche. Nell'ambiente delle associazioni che offrono assistenza è diffusa l’idea che i sociologi, gli storici e gli antropologi che descrivono i gruppi senza inserire nella loro analisi giudizi di valore non diano alcun contributo alla risoluzione dei problemi reali delle persone. Cercare un confronto aperto con loro è spesso sconsigliato;
 
2) esaminare i documenti “segreti” messi a disposizione dagli ex membri totalmente al di fuori dal loro naturale contesto. Questo errore è, a mio avviso, molto più grave del primo, per le conseguenze che provoca nella prassi: permette di conoscere solo una parte della verità, che può essere parzialmente o totalmente travisata. Si possono facilmente immaginare le conseguenze di questo errore nel momento in cui la documentazione interna venisse messa a disposizione anche dell’autorità giudiziaria;
 
3) accettare i racconti degli ex membri in modo acritico; nonostante io sia convinta che l’apporto degli ex membri sia insostituibile e molto utile, da alcuni anni mi sono accorta che le narrative di queste persone sono molto influenzate dalla loro situazione presente che è fortemente avversa al gruppo che hanno lasciato. Inoltre, ascoltando anche l’altra parte in causa, e cioè il gruppo da cui sono fuoriusciti, sono venuta a conoscenza di aspetti per me  totalmente sconosciuti sul modus operandi di alcuni ex membri. Ho scoperto, per esempio, che ci sono ex membri interessati SOLO ai risarcimenti economici, e questo sarebbe il meno, ma ci sono anche ex membri che ricattano i gruppi da cui sono usciti e chiedono loro soldi minacciando di smascherarli attraverso i media; ci sono quelli che non si accontentano dei risarcimenti ottenuti e continuano a chiedere approfittando della situazione favorevole che si crea quando si riesce a mobilitare la stampa; altri intraprendono la loro azione avversa al movimento SOLO perché intendono vendicarsi di torti subiti nel gruppo ecc. 
 
 
4. La nozione di “setta” come stereotipo
 
Quando i parenti degli adepti si rivolgono al centro d’ascolto, si dilungano a descrivere quei cambiamenti nel comportamento e nel modo di pensare del proprio congiunto che creano problemi in famiglia. Queste persone manifestano incertezza e preoccupazione, perché non comprendono le cause del cambiamento. L’errore che viene spesso commesso in questa situazione è quello di  inserire il “caso” in un quadro di riferimento prestabilito, secondo il quale la spiegazione di questi cambiamenti è semplice e al contempo drammatica: essi dipendono dall'influsso nefasto della “setta” che viene presentata come un gruppo criminale che abusa dei suoi membri indifesi. Lo stereotipo, viene diffuso anche dalle informazioni reperite in Internet,  da certe trasmissioni televisive e radiofoniche, in cui più che giornalismo si fa “terrorismo mediatico”.  In genere, purtroppo, nessuno si preoccupa, neanche gli operatori del centro d’ascolto, di verificare se il gruppo di cui ci si sta occupando presenti effettivamente le caratteristiche di pericolosità indicate dai parenti delle vittime. L’appellativo “setta” viene assegnato unilateralmente e da questo presupposto mai verificato derivano tutte le azioni successive.
 
 
5. La “patente” di “vittima” rende quest’ultima infallibile
 
L’operatore del centro d’ascolto non mette mai in dubbio le affermazioni fatte tra le lacrime da una madre o da un padre, da un marito o da una moglie. La condizione di "vittime" rende queste persone infallibili, la loro esperienza inconfutabile, il loro punto di vista l'unico possibile (4). Non intendo assolutamente mettere in dubbio la sincerità dei familiari preoccupati, e, nella maggioranza dei casi, anche la buona fede di chi cerca di aiutarli, tuttavia, ci sono situazioni e conflitti che hanno cause diverse e concomitanti, ed è difficile che un problema di relazione sia da attribuire a una sola causa, per di più esterna al soggetto che ne soffre. Riguardo a questo problema segnalo che i falsi abusi sono un fenomeno che da tempo è arrivato all’attenzione del mondo giuridico e in particolare all’attenzione degli psicologi che si impegnano nell’ambito giuridico. Un convegno internazionale si è svolto recentemente a Milano su questo tema e ormai la ricerca nel settore dei falsi abusi sta dando risultati importanti  che fanno e faranno giurisprudenza.
 
 
6. Plagiare il “plagiato”? 
 
Una volta stabilito che il parente affiliato è un "plagiato", l’intervento da intraprendere può essere – semplicisticamente - uno solo: farlo tornare come era prima.
I cambiamenti nel modo di pensare e nei comportamenti sono sempre interpretati come il risultato della “manipolazione mentale”, e non il frutto di una scelta libera: dunque, vanno  "corretti". Tuttavia, gli insuccessi, per chi cerca di conseguire questo obiettivo  sono numerosi e i “successi” si limitano a qualche caso preso all'inizio della "malattia" quando i “sintomi” si sono appena manifestati e l'adepto, immediatamente scoraggiato e spaventato, si allontana dal gruppo prima che l'opera di proselitismo faccia veramente presa. L’insuccesso provoca un certo tipo di reazioni sia nel gruppo di ascolto che nelle famiglie:  delusione e sconforto sperimentate sia dal volontario che dalla famiglia che ha chiesto aiuto, con conseguente senso di inadeguatezza e scoraggiamento.
 
 
7. Non considerare l’importanza del fattore “tempo”
 
Un altro errore molto frequente riguarda la sottovalutazione del fattore tempo. L’errore di sottovalutare gli effetti del tempo sulle dinamiche familiari è molto frequente, perché chi fornisce assistenza lo fa in un determinato momento e, passata l'emergenza, perde il contatto con le persone. In questo modo, però, non può comprendere e verificare a distanza di tempo gli effetti che l'azione di assistenza ha prodotto nel nucleo familiare o nel singolo. 
 
8. Scarso interesse per lo studio e la ricerca
Si tratta di una caratteristica comune a molti gruppi di ascolto che rimangono legati a teorie e contributi scientifici datati e anche superati. Credo che questo aspetto possa danneggiare l’azione di aiuto e assistenza che  non può prescindere dall’aggiornamento continuo attraverso lo studio di ricerche scientifiche,  saggi ed esperienze di altri impegnati nel medesimo settore.
 
9. Scarsa disponibilità al dialogo 
 
La situazione italiana a riguardo è particolarmente difficile perché nel nostro paese non si riesce a dialogare neanche all’interno delle associazioni di aiuto, in lite tra loro per diversi motivi. In Italia prevalgono atteggiamenti di protagonismo, litigiosità, rivalità e opposizione tra associazioni che dovrebbero cooperare verso gli stessi fini. In questa situazione si comprende bene come sia oltremodo ancora più difficile iniziare a costruire un dialogo con studiosi e ricercatori di ambito accademico. Mentre fuori dall’Italia è in corso da anni un dialogo proficuo tra studiosi e operatori attivi nei centri d’ascolto, con relativo superamento delle vecchie “guerre alle sette” degli anni settanta e ottanta, in Italia c’è ancora una netta separazione e contrapposizione tra le associazioni di aiuto e il mondo accademico. Ritengo che questo sia un ulteriore grave limite  alla nostra azione e che sarebbe necessario cominciare a isolare gli elementi più estremisti del mondo antisette italiano per dare inizio a un dialogo e a uno scambio utile prima di tutto all’interno delle associazioni di aiuto e poi anche con studiosi del mondo accademico e centri di studio impegnati nella ricerca sul fenomeno religioso
 
3. PROPOSTE OPERATIVE
 
In questa parte offrirò suggerimenti e proposte, frutto della mia personale esperienza, per migliorare il nostro impegno a favore delle vittime di sette e forme spirituali controverse presenti nel nostro paese.
 
a) Proposte per migliorare l’azione di assistenza e informazione 
 
Per affrontare adeguatamente i problemi legati al fenomeno dell’affiliazione a gruppi religiosi minoritari e movimenti alternativi sono necessari interventi ad ampio raggio che coinvolgano diversi soggetti.
A mio avviso le azioni da intraprendere sono sostanzialmente tre: informare per prevenire, intervenire per aiutare, ricercare per comprendere.
 
- Gli anni trascorsi come volontaria in un centro d’ascolto hanno rafforzato in me la convinzione che la prevenzione sia l’unica “arma” vincente per evitare che le persone cadano vittime degli  inganni perpetrati da leader senza scrupoli che strumentalizzano a loro vantaggio i bisogni spirituali delle persone. L’importante è che questa informazione sia corretta e non sensazionalistica o scandalistica, che non sia fatta per scatenare cacce alle streghe ma per presentare realtà controverse nella loro giusta luce senza demonizzare nessuno e senza arrecare offese al sentimento religioso delle persone.
 
- Ho già messo in evidenza  gli aspetti positivi e gli elementi di criticità  relativi al modus operandi dei centri d’ascolto. Ritengo, tuttavia, che sia indispensabile istituire centri di consulenza per le persone che chiedono aiuto, solo che essi non dovrebbero essere il risultato di iniziative personali di parenti preoccupati o di fuoriusciti ostili. 
 
- Un altro aspetto importante da considerare, per migliorare il nostro impegno nei gruppi di ascolto, è quello del potenziamento della ricerca. Gli studi e le ricerche scientifiche in questo campo sono scarse e spesso limitate alla descrizione di singoli gruppi. Queste carenze sono state messe in evidenza anche da istituzioni che hanno affrontato il fenomeno (5). Ritengo che le ricerche in questo campo dovrebbero essere progettate e dirette dalle Università con il coinvolgimento di persone con opinioni ed esperienze diverse in proposito, e che i finanziamenti dovrebbero essere pubblici, per evitare che motivi di interesse possano invalidare l’obiettività della ricerca stessa. 
 
- Credo che l’ascolto sia molto più efficace e che contribuisca a ridurre i conflitti quando si attua nei confronti di tutte le persone coinvolte: se gli operatori assumono un atteggiamento aperto a recepire le diverse narrazioni e prospettive - della famiglia, del parente affiliato e del gruppo coinvolto - si può tentare di dare inizio a un dialogo che abbia come finalità quella di ricomporre i conflitti, almeno in parte. E’ la propensione al dialogo e al rispetto di tutti i punti di vista che distingue questi gruppi dai quei movimenti antisette estremisti interessati unicamente a fare opera di istigazione all’odio e ad esacerbare, non a ricomporre i conflitti. In particolare accentuerei l’impegno ad ascoltare anche gli ex membri che, pur essendo critici verso il movimento che hanno lasciato, non si attivano per intraprendere azioni contro di esso. Ritengo che il loro apporto sia molto importante perché più equilibrato rispetto a quello dato dagli ex membri impegnati attivamente contro il gruppo e ostili verso di esso.
 
- Ritengo che, se le persone che si rivolgono al centro d’ascolto fossero seguite nel tempo, anche quelli che sembrano “insuccessi” e che provocano nei volontari uno spiacevole senso di inadeguatezza, molte volte si rivelerebbero semplicemente come fasi necessarie di un lungo processo di adattamento dal quale il nucleo familiare può uscire trasformato e, talvolta, anche migliorato.
 
CONCLUSIONE
 
In conclusione, ritengo, sulla base degli errori che io stessa ho commesso in passato e dell’esperienza che ho accumulato dal 1993 fino ad oggi, che l’impegno di coloro che decidono di fornire assistenza alle vittime delle sette  debba essere ispirato al rispetto di tutte le credenze e prassi religiose e privo di qualsiasi forma di intolleranza verso il diverso. Questo è importante perché l’intolleranza può colpire ingiustamente persone e gruppi assolutamente innocui. Ritengo che i gruppi e le associazioni di aiuto alle vittime delle sette abbiano una grande responsabilità poiché sono loro il punto di riferimento e la fonte delle informazioni diffuse dalla stampa e utilizzate dalle forze dell’ordine per portare avanti il loro compito. Di questa enorme responsabilità non sempre ci rendiamo sufficientemente conto e non siamo consapevoli neanche delle gravissime conseguenze che la nostra azione può provocare nelle persone, nelle famiglie e nella società.

 
1. Oggi l’Associazione ha sostituito, nella sua denominazione, la parola “Sette” con “Socioreligiosa”.
2. Indirizzo: http://www.cesnur.org/religioni_italia/default.htm
3. Aletti M. et alii (2003). La religione postmoderna, Milano: Glossa, pp. 35-44
4. Per approfondire questo tema anche in altri contesti: cfr. C. Eliacheff e D. Soulez Lariviere (2008). Il tempo delle vittime. Come le vittime sono diventate i nuovi eroi della società democratica contemporanea, Milano: Ponte alle Grazie.
5. Ad esempio la Commissione Governativa Svedese sui nuovi movimenti religiosi che ha pubblicato un Rapporto nel 1998 (http://www.cesnur.org/testi/swedish_It.htm).
 
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Copyright © 2009
Riproduzione concessa interamente o in parte solo con citazione di autore e fonte 
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BIBLIOGRAFIA
 
 
E’ possibile reperire molti articoli e studi sui temi trattati in questa relazione sul sito e i Blog di Raffaella Di Marzio (in italiano e inglese)
 
 
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